di Matteo Richiardi
Cominciamo con due considerazioni. Primo. Nel 2006 il Gruppo Torinese Trasporti la società che gestisce il trasporto pubblico a Torino, ha incassato per vendita di biglietti 77,9 milioni di euro, a fronte di 445 milioni di costi operativi. L’Azienda Trasporti Milanesi ha incassato invece 266,4 contro 714,2 milioni di costi di produzione. In tutta Italia, la percentuale di copertura dei costi di produzione con ricavi tariffari supera di poco il 30%, contro una media europea di oltre il 50% (tabella 1).
Una cifra dunque piuttosto modesta, testimone della natura "politica" del prezzo dei biglietti, che copre solo parzialmente il costo di ogni passeggero che viaggia sui bus e sui tram cittadini. I ricavi risultano inoltre abbassati da chi non paga il biglietto (il problema che ha dato luogo alla felice definizione di free riding, anche noto come "fare i Portoghesi"), soprattutto nelle ore "marginali" (di sera, di notte...).
Secondo. Le scelte di mobilità sono caratterizzate, oltre che dai costi dell’utilizzo dei diversi mezzi di trasporto, da ingenti costi esterni, che ricadono non sull’utilizzatore ma sull’intera collettività, o su di una parte di essa. E’ il caso dei costi associati all’inquinamento atmosferico, all’inquinamento acustico, alla congestione, agli incidenti e ai costi sanitari connessi, ed infine all’emissione di gas serra, responsabili del surriscaldamento del pianeta. Da questo punto di vista il trasporto pubblico, caratterizzato da costi esterni molto inferiori a quelli di altre modalità di mobilità, in primis l’auto privata, non torna utile solo a chi lo utilizza, ma anche a chi non l’utilizza. E’ il motivo per cui si parla spesso della necessità di incrementare l’uso dei mezzi pubblici.
Da queste due considerazioni scaturisce un’idea: chi l’ha detto che il "modello europeo" di gestione dei trasporti pubblici sia il migliore, da un punto di vista sociale, soprattutto in una situazione come quella italiana? Perché non offrire il trasporto pubblico gratuitamente a tutti, abolendo tout court il biglietto, per favorire l’utilizzo di questa modalità? La riduzione di entrate sarebbe tutto sommata contenuta e l’utilizzo dei mezzi pubblici non potrebbe che crescere. Molte persone infatti potrebbero trovare conveniente "saltare" su di un bus anche solo per poche fermate… e questo potrebbe innescare un cambio di mentalità che sposti finalmente le preferenze degli individui verso una scelta di mobilità più sostenibile. Il bus come servizio che ci appartiene, come un mezzo su cui salire anche solo per una fermata, come una presenza utile nel quotidiano di tutti i cittadini, può attivare un circuito virtuoso: minore traffico, bus più pieni anche di sera, maggiore senso di sicurezza: insomma, un nuovo modo, più in sintonia non solo con l'ambiente ma anche con le altre persone, di vivere le città.
Due numeri a supporto di questa proposta, presi dal rapporto preparato dagli Amici della Terra per la Regione Piemonte, "I costi esterni dei trasporti nell’area metropolitana di Torino", del 2005 (http://utenti.dea.univpm.it/richiardi/pub/Mobilita.pdf).
I costi esterni per passeggero-chilometro – misura che permette di tenere conto del fatto che un pullman inquina molto di più di un’automobile ma trasporta al contempo molte più persone, e che deve essere letta come i costi ambientali e sociali causati da un passeggero per ogni chilometro percorso – sono pari a 12,9 centesimi di euro per le automobili, di cui circa la metà dovuti a congestione e circa un altro quarto dovuto ad incidenti (tabella 2). Utilizzare il trasporto pubblico fa risparmiare quasi i tre quarti delle esternalità nel caso di autobus e pullman, e le riduce a meno di 1 cent nel caso del tram. Pesando per numero di passeggeri trasportati da tram e bus si ottiene un costo complessivo di appena 3,2 centesimi. Questi valori sono riferiti al 2004. Da allora sono probabilmente cresciuti un po’ per l’inflazione, e diminuiti un po’ per effetto del rinnovamento del parco circolante: veicoli più nuovi inquinano meno e producono meno gas serra, anche se le altre esternalità – congestione, rumore, incidenti – non cambiano significativamente. Li possiamo quindi considerare ancora sostanzialmente validi. I dati inoltre sono riferiti all’area metropolitana di Torino: possiamo ipotizzare che le esternalità dei trasporti in città più congestionate, come Roma o Milano, siano ancora più elevati.
Dal punto di vista sociale dunque, i circa 78 milioni di euro di ricavi da biglietti a Torino sono equivalenti ad uno spostamento di circa 800 milioni di passeggeri-chilometro dall’auto al trasporto pubblico, corrispondenti al 24.5% del totale dei passeggeri-chilometro trasportati dai mezzi collettivi. In altri termini, se eliminando i biglietti il numero di passeggeri aumenta di almeno il 25% - uno scenario realistico – la mossa conviene. Per "recuperare" i 266 milioni di ricavi tariffari di Milano ci vuole di più (2,7 miliardi di passeggeri-chilometro), ma anche il numero di passeggeri già trasportati dal TPL è maggiore (i dati disponibili sono riferiti ai posti-chilometro, ovvero all’offerta massima, e parlano di oltre 22,3 miliardi di posti-chilometro offerti nel 2005 dall’ATM).
Ovviamente i numeri sopra calcolati riguardano la componente di domanda addizionale di trasporto pubblico sostitutiva rispetto a quella di trasporto privato. Una parte dell’aumento di passeggeri potrebbe infatti essere dovuto ad un aumento di domanda di coloro che già prima non usavano l’auto, e questi "non contano", nel nostro calcolo. Inoltre, è possibile che l’aumento di domanda renda necessario il potenziamento del servizio, con un aggravio dei costi. Ma la convenienza (sociale) del trasporto pubblico sopra evidenziata non è certo calcolata stipando gli autobus all’inverosimile, e quindi l’obiezione, sotto questo aspetto, risulta non pregnante.
Il punto principale poi è un altro: la vera scommessa è indurre un cambio generalizzato di mentalità, e lo "stratagemma" di rendere gratuito il servizio pubblico può servire proprio a questo. I nostri calcoli servono a dimostrare che questo è possibile, e non troppo costoso.
Chi paga?
Il dibattito per l’abolizione delle tariffe per il trasporto pubblico cittadino è vivo in paesi come l’Australia
(http://www.trinity.wa.edu.au/plduffyrc/issues/tranfree.htm), ma è quasi assente da noi. Le città che offrono il trasporto pubblico gratuito sono pochissime, e tipicamente di piccola dimensione (ad esempio il comune di Troia, in provincia di Foggia). Addirittura, la legge impone che le aziende del trasporto pubblico raggiungano almeno il 35% dei ricavi da bigliettazione.
Il perché di questa politica è semplice: i costi sociali della mobilità non li pagano le aziende dei trasporti pubblici, e – a ben guardare – nemmeno chi finanzia i disavanzi di bilancio strutturali di queste aziende: il sistema sanitario nazionale copre in buona misura i costi sanitari, nessuno per il momento paga per i danni futuri dell’effetto-serra, mentre i costi di congestione sono una tassa implicita su tutti i cittadini che si muovono, e gli incentivi per renderla esplicita sono politicamente molto bassi. E così l’ "autobus di Troia" – quello che potrebbe introdurre nelle abitudini delle persone il germe del cambiamento – è destinato a non partire mai ...
Ma come si potrebbero trovare i fondi per finanziare questa iniziativa? Il costo per rendere gratuito il trasporto pubblico in Italia sarebbe compreso tra 1 e 2 miliardi di euro. Per reperire questa somma si potrebbe pensare di destinare una parte del sovra-gettito derivante dall'aumento del prezzo dei carburanti, oppure a – livello locale – di aumentare il costo dei parcheggi, o destinare a questo sopo il ricavato di una tassa di ingresso per le auto ai centri cittadini (sull'esempio di quella di Londra e di quella recentemente introdotta a Milano) . Sarebbero due modi per far pagare alle auto il costo del bus, aumentando ulteriormente la convenienza del trasporto pubblico.
Matteo Richiardi
See
original for tables